L’Organizzazione Mondiale per la Sanità ha fissato alcuni fattori di rischio per la salute mentale dei rifugiati. Sono state analizzate le diverse fasi del processo che porta la persona a uscire dal proprio Paese per richiedere asilo.

Si è notato come tutte queste fasi contengano diversi fattori di rischio per la salute mentale dei rifugiati.

Il percorso inizia dalla fase precedente la partenza, quando si manifestano le cause che portano la persona ad essere costretta a lasciare il proprio Paese. Esse possono essere legate ad un conflitto armato o a persecuzioni legate, ad esempio, alle idee politiche o religiose della persona o alla sua sessualità. Durante questa fase, la persona è esposta al rischio di perdere la vita o di essere torturata.

Arriva dunque la decisione di lasciare il proprio Paese, la propria casa e i propri ricordi.

 

Il viaggio

 

Il viaggio è una fase altresì pericolosa, che può durare anni. Durante il viaggio, la persona è esposta a rischi di violenza fisica, soffre di forti privazioni e non ha momenti di riposto. Essendo in una situazione di irregolarità nei Paesi di transito, la persona è esposta al rischio di espulsione, spesso violenta. A causa di tale rischio, i percorsi scelti saranno i più impervi, creando un rischio per la vita della persona.

La persona, qualora venga intercettata durante il proprio viaggio, si trova davanti a due possibili scenari sui quali influisce la politica del Paese di transito.

Nonostante il Diritto Internazionale legiferi che la persona migrante in transito debba essere espulsa solo nel caso in cui non richieda la protezione internazionale, molti Stati praticano ancora espulsioni forzate. La persona si trova dunque illegalmente respinta oltre la frontiera.

 

Una nuova vita?

 

Qualora il Paese di transito rispetti il Diritto Internazionale, la persona potrà richiedere la protezione internazionale.

I tempi di attesa e le condizioni di vita durante questo periodo dipendono da Stato a Stato. Spesso la persona deve aspettare lunghi periodi vivendo nella paura di essere rimpatriata e di rischiare nuovamente la vita. La persona vive, inoltre, spesso in condizioni di povertà e isolamento.

Questa situazione spesso non migliora qualora la persona venga riconosciuta come titolare del diritto alla protezione internazionale. Spesso mancano concreti progetti di inclusione linguistica e lavorativa. La persona si ritrova ad avere la possibilità teorica di vivere una nuova vita, senza i mezzi concreti per farlo. Ritornano dunque lo stress e la depressione del periodo di stallo.

Diventa quindi fondamentale velocizzare le procedure di riconoscimento della protezione internazionale. Altresì fondamentale è la creazione di programmi di inclusione efficaci che valorizzino al meglio le potenzialità della persona rifugiata.